Le forme di populismo reazionario
Segnali che, riassumendo sommariamente il ragionamento di da Empoli, sono i seguenti: il fronte politico globale che da sempre specula su quell’immenso capitale sociale che è la rabbia – capitale rimasto fluttuante nei primi lustri del nuovo secolo, sostanzialmente da quando è crollato il grande blocco della sinistra novecentesca e tradizionale – si è finalmente riorganizzato e ha trovato sbocco ed espressione nelle nuove forme di populismo reazionario che stiamo sperimentando in questi mesi al di qua e al di là dell’oceano.
In questa cornice si staglia lo specifico di questo fronte nella sua declinazione nazionale, in quell’Italia che è stata un vero e proprio laboratorio di populismi, quello barbarico e giustizialista di Mani Pulite, quello formato tycoon di Berlusconi e infine quello puro, cristallino e a 5 Stelle.
Uno specifico di cui Casaleggio e Grillo sono oggi le facce, i rappresentanti ideali dei due elementi fondativi del grillismo: la “grandefratellizzazione” della politica – “il trionfo dell’uomo comune messo al centro della scena, la presa del potere da parte dello spettatore sovrano che partecipa, decide e sanziona” scrive da Empoli – rappresentata egregiamente sulla scena pubblica dallo stesso Beppe Grillo.
E, dietro a tutto ciò, i server e gli algoritmi della Casaleggio Associati, dove la rete non è semplice orpello o sovrastruttura ma una macchina discreta e sofisticata che permette di dare vita a una rivoluzione dall’alto basata sullo sfruttamento politico e commerciale di una mole immensa di dati raccolti.
Tre cose da contrapporre al populismo
Che fare di fronte a tutto ciò? Tre cose, sostiene da Empoli.
Primo, sgombrare il campo da un equivoco: i grillini non sono “compagni che sbagliano”, un grande classico di quella sinistra tradizionale di cui sopra che alcune componenti fuoriuscite dal Pd sembrano voler rinverdire, lavorando su un ipotetico ed inquietante asse fatto di massimalismo, giustizialismo e anticapitalismo. E di un nemico comune: Matteo Renzi e tutto quel che rappresenta, con le cronache politico-giudiziarie di queste ore a conferma di tutto ciò. Nulla di più sbagliato.
Secondo, evitare le tre risposte date finora al grillismo: quella giacobina, inseguire cioè i populisti sul loro terreno; quella elitaria – dire cioè che è tutta colpa dell’ignoranza; quella dorotea – reagire chiudendosi a riccio nel bunker del sistema.
Terzo, provare a mettere in atto una strategia, cui il libro dedica l’ultimo capitolo, che contrapponga al modello grillino basato esclusivamente sull’uno vale uno (che poi vuol dire che uno vale l’altro) e sulla quantità, un modello basato sulla qualità.
Qualità delle proposte, delle persone, delle classi dirigenti, di quella che da Empoli definisce “una comunità di donne e di uomini fuori dal comune, portatori di valori e di una visione per il futuro dell’Italia”. Sfida ardua ma bellissima. Cui La rabbia e l’algoritmo fornisce un contributo importante.