Esiste una profonda e ineliminabile differenza tra chi pensa che guidare un Paese sia una cosa seria, e chi, invece, non si cura del fatto che a pagare l’inesperienza siano i cittadini e la gente comune; tra chi seleziona la propria classe dirigente attraverso l’insegnamento e chi, ancora, sceglie i candidati con un’esigua manciata di “mi piace” su una piattaforma oscura e inaccessibile.
La scuola del Partito democratico
Sabato scorso, il 20 di maggio, è partita a Milano la scuola di formazione del Partito democratico, intitolata a uno dei più grandi intellettuali contemporanei: Pier Paolo Pasolini.
L’ideatore è il professor Massimo Recalcati, scrittore e psicoanalista. “La formazione politica” ha detto Recalcati in una intervista “non coincide con l’abilità di navigare su internet, né con il tecnicismo della buona, ordinata e necessaria amministrazione”.
La politica è qualcosa di più: è desiderio, orizzonte e sogno. Ma soprattutto fare politica significa individuare gli strumenti attraverso cui realizzare quel desiderio, quell’orizzonte e quel sogno. La grande novità della scuola intitolata a Pasolini sta nel fatto che si ritorni a pensare che una classe dirigente debba essere “formata”, ossia fornita degli strumenti e delle capacità per rispondere alle esigenze dei cittadini che in quella classe politica hanno riposto la propria fiducia.
La politica trasparente
Matteo Renzi, nel suo discorso durante la prima giornata, ha detto che c’è bisogno di passare dagli “specchi alle finestre”, nel senso che la politica ha necessità di essere trasparente e rivolta verso l’esterno, piuttosto che chiusa e autoreferenziale.
Centinaia di giovani hanno deciso di dedicare energie, tempo e mente a questo importante momento di formazione, che rilancia un’idea troppo spesso dimenticata: la politica implica – se non addirittura presuppone – preparazione, coraggio e convinzione, perché non esiste niente di peggio che alimentare una speranza senza essere in grado di realizzarla.