In Italia c’è un partito che ha privatizzato l’etica pubblica, trasformandola in uno strumento di lotta politica da utilizzarsi in chiave puramente tattica. Quando conviene, la si tira fuori dall’armeria e si comincia a sparare. Quando non conviene, la si tiene ben nascosta. Quel partito è il Movimento Cinque Stelle, che ieri ha partorito l’ennesima mozione di sfiducia legata a fatti giudiziari. Sarebbe facile ricordare ai Cinque Stelle l’altissima percentuale di indagati che possono già vantare i pochi amministratori grillini: dal plurindagato Sindaco di Livorno Nogarin ai parlamentari coinvolti nella vicenda delle firme false in Sicilia e i consiglieri regionali protagonisti di uno scandalo rimborsi in Piemonte ed Emilia, fino naturalmente ai tre avvisi di garanzia recapitati alla Raggi e all’arresto del suo principale collaboratore Raffaele Marra. Sarebbe facile rilevare che mai nessuna richiesta di dimissioni è venuta dai vertici Cinque Stelle nei confronti di uno qualunque tra questi loro autorevoli esponenti. Sarebbe facile, ma l’assenza di coerenza non è il tratto principale della condotta grillina neanche sulle vicende giudiziarie.
Le inchieste giudiziarie
Più di questa, conta il fatto che il Movimento Cinque Stelle ha sequestrato a fini di parte il bene pubblico dell’etica. Da una parte rifiutandosi sempre di sostenere in Parlamento (o anche solo di emendare) i provvedimenti legislativi con cui lo Stato si difende concretamente dall’espansione della corruzione e del malaffare: e qui l’obiettivo grillino è quello classico del “tanto peggio, tanto meglio”, ovvero la scommessa sull’esplosione di episodi di corruzione come percorso privilegiato per la presa del potere. Dall’altra, e più gravemente, utilizzando le inchieste giudiziarie solo e soltanto quando sono convenienti per gli obiettivi di partito. Si dirà forse che siamo di fronte ad un antico vizio italiano, che da Tangentopoli in avanti ha trasformato la giustizia in uno strumento di lotta politica. Ma non sarebbe esatto: perché il quarto di secolo trascorso dalle inchieste di Mani Pulite non è passato invano per la politica italiana, che ha imparato sulla propria pelle i rudimenti del garantismo arrivando finalmente a fare un uso molto più accorto della convenienza di parte degli scandali giudiziari.
Un partito azienda
Eppure tutto questo non vale per un partito come i Cinque Stelle: che ha di fatto privatizzato l’etica pubblica facendone uno strumento svuotato di ogni coerenza e /vincolo di principio. A pensarci bene, non ci sarebbe neanche da stupirsi. Un partito-azienda già privatizzato, sottratto ad ogni vincolo di trasparenza e accountability e dipendente di fatto da una SRL di cui non sappiamo niente, non può mostrare eccessivo rispetto né verso i valori fondamentali dello Stato di diritto né tantomeno verso la cultura del garantismo. E denuncia, anche in questo caso, un riflesso tipico dei movimenti a vocazione dittatoriale: tutto è permesso, anche e soprattutto in violazione della coerenza e del bene collettivo, a patto che porti vantaggi al proprio capo e alla propria ideologia. Un piccolo antipasto del menù grillino per il governo del paese.