Gli arresti avvenuti ieri a Brindisi, dove quattro persone sono state accusate di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro in particolare di manodopera femminile nella raccolta delle ciliegie e dell’uva, confermano che la legge sul caporalato approvata durante il governo Renzi e fortemente voluta del ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, ha segnato un punto di svolta.
La strada naturalmente è ancora lunga, ma l’esistenza di uno strumento normativo che agevola il contrasto al lavoro illegale in un settore nevralgico come quello agricolo, è la riprova che se si vuole si può.
Una rete di imprese, istituzioni e cittadini
Ovviamente non basta un provvedimento per colmare i vuoti ancora esistenti. Serve una rete che collabori e cresca costantemente, composta da imprese, istituzioni, cittadini, territori ed organizzazioni sociali.
In un tessuto fatto di relazioni e di sentimenti, a conferma che solo attraverso una sensibilità diffusa si potrà porre un freno – sino alla sua estinzione – a quello che è un problema anche culturale.
Negli approcci all’occupazione e nella dignità da riconoscere al lavoro e al lavoratore comunque e sempre. Senza allentare nella funzione di vigilanza che rappresenta il primo passo verso un traguardo più compiuto che in primo luogo è un traguardo di civiltà.
Lo sfruttamento di donne e uomini
Il plauso che accolse la legge – confermato anche durante il Lingotto dello scorso marzo da Ivana Galli segretaria nazionale della FLAI – CGIL – è la sintesi di un’esigenza a cui è stata data una risposta. Con il pensiero ai troppi che hanno rischiato e rischiano la propria esistenza, in territori dove tutto è drammaticamente complicato da un concetto di vita spesso con più eccezioni che regole.
Dunque avanti su questa strada, consapevoli che saranno ancora tanti i casi da affrontare. Ma con qualche certezza in più che rafforza e difende il coraggio di chi denuncia lo sfruttamento di donne e di uomini, attraverso una norma che è a garanzia di chi fa impresa con coscienza e legalità.
Due requisiti alla base della convivenza democratica, in cui riconoscere l’altro significa riconoscere se stessi. Insieme alle istituzioni e, anzitutto, alle persone da non lasciare sole. E quanto accaduto a Brindisi va nella direzione auspicata da sempre. Questa volta con la concretezza dei risultati, un incoraggiamento ad insistere sulla coscienza del rispetto umano e delle regole.
Cambiare si può.