“Va tutto bene, ci vediamo nel mondo”. Con queste sette parole Alessandro Gassmann, celebre attore e figlio d’arte, ha comunicato ai fan l’addio a Twitter.
Il popolare social network, secondo l’attore, era diventato coacervo d’insulti e nefandezze, utile solo a riversare odio per chi dice, semplicemente, quello che pensa.
Gli insulti sui social
Dopo aver preso la ramazza in mano ed essersi prodigato per pulire – simbolicamente – le strade di Roma, Gassmann era stato sommerso da insulti, ingenerosi e senza senso.
La proverbiale “goccia che fa traboccare il vaso”, però, è caduta negli ultimi giorni. “Ti piacciono i pomodori?” aveva scritto su Twitter “Le verdure? Le fragole? Il vino? Senza immigrati scordateli!”, e questo è bastato a sobillare i leoni dell’etere informatico, che hanno tempestato l’account dell’attore di commenti contro la legge sulla Ius soli che si stava discutendo in quei giorni in Parlamento. Quanto accaduto è la dimostrazione plastica di una delle piaghe dell’era informatica: odio e intolleranza, nascosti dietro un nick-name.
Metterci la faccia
Perché il problema non è tanto l’insulto – o meglio, non solo – quanto il fatto che questi sedicenti leoni – più simili ad un mitologico incrocio fra un agnello e uno struzzo che al re della Savana – non hanno nemmeno il coraggio di dire la propria, mettendoci la faccia.
L’addio di Gassmann a Twitter – di per sé certamente non gravissimo – ci permette di ragionare, ancora una volta, sull’utilizzo dei social network come strumento per cavalcare l’odio, fomentarlo e indirizzarlo politicamente. La strategia ha una sua logica, tombale e terrificante: chi ha una diversa opinione non deve essere convinto, bensì annientato. Virtualmente, s’intende.